MARCH AGAINST MONSANTO: NON PIU’ OGM

Si chiama “March Against Monsanto” il movimento internazionale che si batte per impedire che la multinazionale dal fatturato di quasi 9 miliardi di dollari continui a gestire il monopolio alimentare del mondo. Con la complicità dei mass media e del loro silenzio, comprato a caro prezzo dell’azienda. A partire dallo scorso anno milioni di questi salutisti della resistenza 2.0 hanno deciso di istituire ed aderire alla giornata internazionale di boicottaggio della Monsanto, calendarizzata per il 24 maggio di ogni anno. Nel 2013 la marcia organizzata dagli attivisti ha contato la partecipazione di due milioni di persone, per gli organizzatori, centinaia di migliaia per gli organi di sicurezza. Denunciato dai manifestanti anche un presunto sabotaggio da parte dei mass media: mentre in Olanda la protesta veniva seguita dai principali giornali e dalle tv, negli Stati Uniti, dove la marcia coinvolse un numero indubbiamente più alto di dimostranti, la manifestazione divenne affare soltanto delle emittenti locali.
Quest’anno la marcia contro la Monsanto verrà riproposta e raggiungerà anche Roma e ad altre 400 città del mondo. Il fenomeno “boycott Monsanto”, infatti, non è totalmente sconosciuto nel nostro Belpaese. Basti pensare che lo scorso 5 aprile i rappresentanti di 38 associazioni si sono riuniti in diversi centri della Penisola per promuovere la campagna ‘Italia No Ogm’: l’obiettivo era quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del biologico, sano e Made in Italy, messaggio che verrà riproposto più volte in vista di Expo 2015. Inoltre tra un mese il Tar – la sentenza, inizialmente prevista per il 9 aprile scorso, è stata rinviata di 45 giorni – si pronuncerà circa un ricorso presentato da un agricoltore del Friuli contro un decreto interministeriale che ha bloccato l’uso del mais ogm della Monsanto nel nostro paese. Il risultato? Possibile via libera per le colture transgeniche in Italia. Quello che ambientalisti e contadini, pronti a mettersi in marcia contro Monsanto, vogliono categoricamente evitare che accada. Ma per cosa si battono i manifestanti che scenderanno in strada il prossimo 24 maggio?

Link sulla campagna: http://www.march-against-monsanto.com/

In arrivo le sementi open source

Scritto da Daniel Iversen
Sta per partire una campagna [1] portata avanti da un gruppo di scienziati e attivisti alimentari mirata a cambiare le regole che attualmente governano le sementi.

Stanno per essere rilasciate 29 nuove varietà di culture in “Open Source”, per salvaguardare la libertà di condivisione da parte dei coltivatori e degli agricoltori.

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L’ispirazione viene dal software Open Source, liberamente disponibile per chiunque lo voglia utilizzare, ma non legalmente convertibile in un prodotto di proprietà.

Ad un evento al campus della Università del Wisconsin, a Madison, i sostenitori di questa iniziativa rilasceranno 29 nuove varietà di 14 diverse colture, incluse carote, cavoli, broccoli e quinoa.

Chiunque riceva queste sementi ha l’obbligo di impegnarsi a non limitarne l’uso e la distribuzione per mezzo di brevetti, licenze o qualsiasi tipo di proprietà intellettuale. Infatti, tutte le future piante che cresceranno da queste sementi open source dovranno rimanere anch’esse liberamente disponibili.

Irwin Goldman [2], coltivatore dell’Università di Wisconsin a Madison, ha contribuito a organizzare questa campagna, che è un tentativo di ripristinare la pratica di condivisione aperta che era la regola tra i coltivatori quando intraprese la professione oltre 20 anni fa.

“Se altri agricoltori ci chiedessero il nostro materiale, manderemmo loro un pacchetto di semi, e loro farebbero lo stesso per noi,” dice. “Questo era un modo meraviglioso di lavorare, che però non si usa più.”

Oggi i semi sono una proprietà intellettuale. Alcuni sono brevettati come invenzioni. Per usarli è necessario un permesso dal detentore del brevetto ed è vietato raccogliere i semi per poi reimpiantarli l’anno successivo.

Perfino i coltivatori universitari operano a queste regole. Quando Goldwin crea una nuova varietà di cipolle, carote o di barbabietole, un reparto di trasferimento tecnologico universitario applica una licenza per le aziende sementiere.

Questo porta del denaro che aiuta a pagare il lavoro di Golman, ma a lui non piacciono le conseguenze che si hanno nel limitare l’accesso ai geni delle piante, che egli chiama germplasma.

“Se non condividiamo e ci scambiamo liberamente il germplasma, allora limiteremo la nostra abilità nel migliorare il raccolto.”, dice.

Anche il sociologo Jack Kloppenburg [3], della stessa Università, ha condotto una campagna contro i brevetti sulle semenze, per 30 anni. Le sue ragioni vanno oltre quelle di Goldman.

Dice che aver trasformato i semi in proprietà privata ha contribuito all’ascesa delle grandi multinazionali delle sementi che a loro volta promuovono aziende specializzate sempre più grandi. “Il problema è la concentrazione e l’insieme ristretto di usi in cui viene usata questa tecnologia e queste coltivazioni”, dice.

Kloppenburg spiega che un obiettivo importante di questa iniziativa è semplicemente quello di far pensare le persone a come i semi vengono controllati. “C’è da aprire la mente alle gente,” dice. “E’ una specie di meme biologico, si dovrebbe dire: “Semi Liberi! Che i semi possano essere usati da chiunque!”

L’impatto pratico sugli agricoltori dell’iniziativa di semi open source potrebbe essere, però, limitato. Anche se chiunque può utilizzare tali sementi, la maggior parte delle persone probabilmente non sarà in grado di reperirli.

Le aziende che dominano nel commercio di sementi continueranno a vendere i loro ibridi e le loro varietà proprietarie: ci si fa più soldi con quei tipi di sementi.

Molti semi di verdure commerciali sono ibridi, ossia dotati di una specie di blocco di sicurezza; se si ripianta un seme di un ibrido non si otterà esattamente la stessa pianta. (e per questo motivo molte aziende non si preoccupano di brevettare i propri ibridi).

John Shoenecker, direttore della proprietà intellettuale dell’azienda di sementi HM Clause, e presidente entrante della American Seed Trade Association, dice che la sua azienda potrà evitare di usare semi Open Source per coltivare nuove varietà commerciali “perché hanno un limitato potenziale per recuperare l’investimento iniziale.”

Questo è perché le piante germogliate da semi open source dovranno essere anch’esse condivise alla stessa maniera, e ogni altra azienda di semenze potrebbe immediatamente vendere la stessa varietà.

L’iniziativa ha probabilmente un importanza maggiore per i coltivatori, specialmente nelle università. Goldman afferma di aspettarsi che molti coltivatori universitari si uniscano a questo sforzo open source.

Nel frattempo due piccole aziende sementiera la High Mowing Organic Seeds [4] in Hardwick, Vt., e la Wild Garden Seed [5] in Philomath, Ore., specializzati alla vendita di prodotti biologici, stanno aggiungendo alcuni semi open source al loro catalogo di quest’anno.

[1] http://www.news.wisc.edu/22748
[2] http://www.nutrisci.wisc.edu/facultypages/f_goldman.html
[3] http://www.drs.wisc.edu/faculty/kloppenburg/index.php
[4] http://www.highmowingseeds.com/
[5] http://www.wildgardenseed.com/

Daniel Iversen
23 aprile 2014